Cosio d'Arroscia - luglio 1957



UNA SITUAZIONE PROVVISORIA
(COSIO 1957)

di Sandro Ricaldone



Il tempo non è più che uno spazio nel quale si dispiega l’amnesia
Günther Anders


Ha raggiunto i cinquant’anni la fotografia, scattata da Ralph Rumney, che ritrae i membri della nascente Internazionale Situazionista radunati su un sopralzo all’ingresso di Cosio d’Arroscia. A sinistra Pinot Gallizio (il solo a vestire una giacca) cerca con gli occhi, all’estremo opposto, Jorn e Walter Olmo, colti mentre ridono compiaciuti. Simondo, che regge un bottiglione di vino, fissa l’obiettivo con intensità, mentre Elena Verrone, da poco divenuta sua moglie, gli si stringe al fianco. Al centro Michèle Bernstein esibisce un’espressione neutra, mentre Guy Debord abbozza, tra l’ironico e l’enigmatico, un sorriso leonardesco. Vi aleggia un’atmosfera spensierata, lontana dall’atteggiamento sorvegliato dei pittori futuristi ritratti, in lobbia e paletot, con Marinetti a Parigi nel 1912 come dall’aura vagamente dandystica che caratterizza le figure di Whistler e Manet nell’Hommage à Delacroix (1864) di Fantin-Latour, dove Baudelaire siede ai margini del gruppo, ostentando una fissità contratta. Lontana, anche, dalla costruzione pseudo-naïve (ma contrassegnata da un fitto apparato simbolico) del Rendez-vous des amis, in cui Max Ernst ha dipinto il gruppo dada-surrealista parigino nel 1922, sovrastato da un ieratico Breton.
Al di là del clima informale e divertito che ne traspare, questa fotografia - analogamente agli altri ritratti nominati - ci rivela qualcosa sui rapporti che in quel momento intercorrevano nel gruppo ristretto dei fondatori, consapevoli o meno, della nuova Internazionale e sulle gerarchie che andavano stabilendosi. Come in un'altra celebre inquadratura, scattata in occasione di una visita di Debord ad Alba, Debord si colloca al centro. Ha Michèle Bernstein a destra e Jorn a sinistra. Elena Verrone e Simondo si trovano in una posizione intermedia, da cui saranno presto scalzati da Gallizio, qui più distante. Con una forzatura interpretativa si può intravedere nell’immagine un riflesso delle differenti posizioni espresse dai singoli che, velate al momento dall’entusiasmo del “gruppo in fusione”, non avrebbero tardato a far sorgere aperti contrasti.
Contrariamente ad una opinione diffusa - che le riconduce all’ossessione di Debord per il controllo dell’organizzazione, dissimulata da un’esigenza di rigore ideologico - le divergenze rivestivano natura sostanziale. Come è noto, infatti, l’Internazionale Situazionista nasce dalla confluenza di due componenti: l’Internationale Lettriste, di cui Debord e Michèle Bernstein nel luglio 1957 erano rimasti - in singolare coincidenza con quanto doveva avvenire nella fase finale dell’avventura situazionista - i soli rappresentanti, e il Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste (M.I.B.I.), fondato Asger Jorn nel 1953, che contava allora su un numero più ampio di affiliati (Constant, Pinot Gallizio, Walter Olmo, Piero Simondo, Elena Verrone).
Entrambe queste formazioni nascevano da esperienze precedenti, costituite, per ciò che concerne l’I.L., dal movimento lettrista, creato da Isidore Isou a Parigi nel 1946, e quanto al M.I.B.I., da CoBrA, fondata ancora nella capitale francese due anni dopo da un gruppo di artisti e poeti belgi (Dotremont, Noiret), olandesi (Appel, Constant, Corneille) e danesi (Jorn). Si trattava di esperienze forti, che mantenevano un’incidenza importante nell’attività dei due nuovi raggruppamenti.
Il Lettrismo, attraverso un elaborato percorso che muoveva dalla identificazione della lettera come unità elementare del linguaggio poetico, musicale e plastico, mirava a condurre a termine il processo di disgregazione delle forme artistiche preesistenti e ad avviarne la rifondazione, nel quadro di una nuova organizzazione socio-economica incentrata sulla dinamica della creatività pura, moltiplicatrice di ricchezza. In quest’ottica ha perseguito una vera e propria aggressione, sino all’annichilimento, nei confronti della materia verbale e dell’immagine, proponendo nel contempo nuovi ambiti di sperimentazione di complessità crescente (l’ipergrafia, somma di tutte le scritture, il romanzo tridimensionale, agito dai personaggi nella vita, il quadro supertemporale, che apre l’opera alla partecipazione di più autori in un arco di tempo indefinito), sino a raggiungere, con l’“estetica dell’immaginario” - una dimensione prettamente virtuale. Anche CoBrA nutriva, a suo modo, aspirazioni globalizzanti e praticava – come ha osservato Jean-Clarence Lambert – una sorta di “interspecialismo”, puntando a superare le rigide barriere fra poesia, pittura, architettura, cinema, etnografia, così come coltivava, sulla scorta della riflessione filosofica di Henri Lefebvre, la critica della vita quotidiana. Il suo scenario mancava però dei tratti apocalittici e messianici del Lettrismo; era invece connotato dall’aspirazione a ricomporre la totalità umana. Ed il suo approccio non si fondava su un metodo d’invenzione bensì sulla spontaneità dei gesti e sull’“immagina-zione attiva”, nei termini in cui era stata descritta da Gaston Bachelard.
Se il progetto di Debord e dei suoi originari compagni (Brau e Wolman) era di radicalizzare l’esperienza isouiana, l’idea di Jorn consisteva piuttosto nella volontà di salvaguardare e di far progredire l’eredità di CoBrA attraverso il Bauhaus immaginista. In termini schematici si potrebbe dire che mentre Debord si proponeva di accelerare o di concludere il processo di decomposizione cosciente dell’arte nel quadro (condiviso con Isou, sia pure con accentuazioni diverse) della ricerca una vera e propria palingenesi sociale, Jorn intendeva stabilire invece un ruolo nuovo per l’artista nell’età dell’industrializzazione. La convergenza fra i due tronconi (il terzo, il cosiddetto Comitato Psicogeografico di Londra, se non del tutto inesistente, non poteva contare su alcuna antecedente manifestazione pubblica) non poggiava quindi su una profonda corrispondenza d’intenti. Anche la presa di contatto non era avvenuta sul campo ma attraverso un canale indiretto, rappresentato da Potlach, il bollettino diffuso dal gruppo debordiano. Le pratiche artistiche degli uni e degli altri erano altrettanto disgiunte: cinema, poesia metagrafica e procedure comportamentali per Debord e compagni; pittura e scultura, per quanto sperimentali, per Jorn e Simondo. Nell’I.L. era poi del tutto assente quella raggiera d’interessi che formavano, invece, un territorio condiviso fra Jorn e Gallizio: l’archeologia e l’arte popolare, un sostrato che aveva una profonda relazione con l’idea jorniana secondo cui la forma precede e non segue, come nel famoso aforisma di Louis Sullivan, la funzione.
In sostanza i lettristi dissidenti, nel solco delle teorie di Isou, interpretavano la condizione di metà secolo come crisi del linguaggio e della società, che occorreva perciò rifondare nel loro insieme, mentre per Jorn lo scompenso risiedeva piuttosto “all’interno” del linguaggio e la risposta sembrava consistere in un riposizionamento dell’artista nel sistema culturale e in una vigorosa difesa dei presupposti per l’esercizio di una creazione libera.
Fra le due formazioni l’aspetto di maggior sintonia era costituito dalla denuncia del funzionalismo architettonico. Già nel primo numero della rivista Cobra Michel Colle stigmatizzava il “caos mortifero e insalubre” che affligge la città contemporanea, il “paesaggio di cubi e di prismi” prodotto dagli architetti razionalisti, prendendo partito per una “architettura simbolica”, frutto di una sintesi delle arti percettive e aperta alla rinascita della decorazione. E, prima ancora, Jorn aveva preso le distanze da Le Corbusier, respingendo in taluni articoli scritti nel 1947-48 per la rivista svedese Byggmästaren la concezione apollinea dell’arte, in favore della “spontaneità dionisiaca dell’elemento barbarico”. L’incontro con l’urbanisme unitaire, critica dell’urbanistica elaborata a partire dal 1953 dall’Internationale Lettriste, che esigeva il superamento de funzionalismo nella realizzazione di un contesto urbano appassionante, sembrava quindi perfettamente giustificato.
La diversità di fondo dei rispettivi propositi emerge tuttavia in maniera inequivocabile da un raffronto più meditato fra gli interventi di Jorn che precedono la fondazione dell’I.S. ed il Rapport sur la construction des situations debordiano. Il tema di Jorn è, come accennato - e la denominazione del Congresso di Alba ne rende testimonianza - la rivendicazione della libertà dell’espressione artistica (sintesi di due fattori: l’“interesse umano”, che esclude il puro manifestarsi individualistico, e l’“originalità” della soluzione proposta) di fronte agli standards imposti dai processi produttivi dell’industria, laddove Debord esordisce proclamando l’esigenza di affrancare la vita da una condizione oppressiva: “Nous pensons d'abord qu'il faut changer le monde. Nous voulons le changement le plus libérateur de la société et de la vie où nous nous trouvons enfermés...”.
All’interno del M.I.B.I., poi, le posizioni sostenute ai singoli si presentano differenziate, sebbene comunque riconducibili a problematiche di matrice artistica. Di Jorn s’è già detto, anche se vale la pena di rimarcare ancora come, al di là della dimensione teorica, per lui rimanesse fondamentale “attaccare le questioni formali in un modo pratico”, come fece – o tentò di fare – con le “esperienze” del M.I.B.I., prima fra tutte gli “incontri Internazionali della Ceramica”.
L’approccio di Piero Simondo si collocava all’epoca in una cornice deweyana, trasponendo nell’arte la teoria dell’indagine del filosofo americano attraverso un processo articolato sulla “verifica” del risultato raggiunto e sul suo susseguente utilizzo come piattaforma per l’impostazione dei nuovi progetti, da attuarsi nell’ambito, sperimentale per definizione, del laboratorio. Una propensione che, ponendo l’accento sugli aspetti metodologici, presenta una certa affinità con la tendenza di Isou a privilegiare l’aspetto inventivo generale sulla realizzazione concreta delle singole opere.
Dal canto suo Pinot Gallizio, dopo essersi dedicato a saggiare le possibilità d’impiego di materiali inusuali (peci, resine e simili), va elaborando – con l’audacia del neofita – il primo abbozzo di una mossa destabilizzante, mettendo in cortocircuito nella “pittura industriale” il ragionare di Jorn sul rapporto arte-industria con la tecnica straniante e iterativa del monotipo appresa di Simondo.
Mentre il contributo di Elena Verrone si manifesta essenzialmente nel dibattito interno, l’apporto di Walter Olmo – sin qui ingiustamente ignorato – si muove con originalità in un territorio che sta fra il rumorismo futurista (con pezzi sonori realizzati recitando ricette all’interno di pentoloni rimbombanti) e la musica d’ambiente.
Constant - che sarà in seguito l’artista più coinvolto nelle tematiche situazioniste dell’“Urbanisme Unitaire” e metterà a punto, con New Babylon, il prototipo di una “situazione costruita” su scala urbana – crede in quel momento nella possibilità di un profondo rinnovamento architettonico permesso dai nuovi materiali e dalle nuove tecniche costruttive. “L’architettura” – afferma fra l’altro nel suo intervento al Congresso di Alba, nel settembre 1956 – “sarà in grado d’includere nella sua estetica la manipolazione dei volumi e dei vuoti come la intende lo scultore e il colorismo spaziale proprio della pittura”. La maquette per l’“Accampamento degli zingari” di Alba (1957) ne costituisce il primo esempio, affine peraltro, nell’esito formale, ai rilievi degli artisti del Neoplasticismo olandese.
Nel momento in cui redige il Rapport, nel giugno 1957, Debord appare ancora legato al retaggio lettrista tanto sotto il profilo della ricerca di un profondo rivolgimento sociale (e del ruolo attivo dell’avanguardia artistica in quest’ambito) quanto sul versante della “strumentazione” artistica, incentrata – in conformità alla lezione di Isou – non sulla produzione di un’opera e sulla sua qualità intrinseca bensì sull’invenzione di un procedimento inedito. Le opzioni artistiche praticabili dalla nuova organizzazione sono, tout court, quelle (e solo quelle) elaborate dall’Internationale Lettriste: urbanisme unitaire, dérive, détournement. Anche il concetto di situazione (“momento di vita, concretamente e deliberatamente costruito attraverso l’organizzazione collettiva di un ambiente unitario e di un gioco di avvenimenti”), che riflette una singolare concezione dell’esistenza, data come composta di istanti autonomi, risale all’epoca (1952) della sua militanza lettrista e si riporta al già citato roman tridimensionnel, teorizzato da Isou nel 1950.
Certo, nel testo debordiano si coglie un’attenzione alla condizione storica che in Isou è azzerata dall’incarnazione d’un ruolo messianico. Al tono scarsamente assertivo adottato nella parte che riguarda la linea d’azione della nuova formazione, di cui Debord tiene a rimarcare la provvisorietà (se non, addirittura, la precarietà), si accompagna infatti l’identifica-zione del senso del proprio operare nel rapporto con l’epoca attraversata: “L’I.S. è la prima organizzazione artistica che si fonda sull’insufficienza radicale di tutte le opere permesse; ed il cui significato, il successo e lo scacco non potranno essere giudicati che con la prassi rivoluzionaria del suo tempo”.
In quest’ottica sembra del tutto conseguente l’esclusione, d’altronde non così rapida come potrebbe apparire, della cosiddetta “ala artistica”. Il problema che si manifesterà in seguito consiste, tuttavia, proprio nella distanza fra l’analisi situazionista, peraltro largamente ripresa da altri gruppi politici precedenti o coevi, e la prassi; distanza ribaltata idealisticamente nella presunzione che, per così dire, fosse il reale a doversi adeguare alla teoria.
Più che ad altri movimenti, all’Internazionale Situazionista può applicarsi - per analogia - l’idea di Jorn secondo cui è l’artista ad essere l’oggetto principale della propria sperimentazione: si tratta realmente dell’avventura artistica, intellettuale e politica, del bildungsroman collettivo di un gruppo che – fra esclusioni repentine e profondi cambiamenti di rotta - ha sperimentato sé stesso tentando di fare i conti con il suo secolo.
Nonostante la penetrazione delle idee situazioniste nell’ambiente studentesco francese, è dubbio che il maggio ’68 possa essere considerato come un prodotto dell’I.S., così come non può reputarsi soltanto una fortunata coincidenza. Paradossalmente, il ’68, per le esperienze che abbiamo rievocato, rappresenta una fine, più che l’occasione di un nuovo, più esaltante principio. Si racconta che Isou sia andato incontro ad un tracollo quando, nel maggio 1968, vide realizzarsi il suo progetto del “Soulévement de la Jeunesse” e non fu chiamato a guidarlo. Debord, dal canto proprio, ebbe parte nel movimento ma non seppe indirizzarne il corso nella sua prospettiva. Jorn, infine – secondo la testimonianza di Jacqueline de Jong – rimase in disparte, avvertendo melanconicamente la distanza che ormai lo separava dai ventenni.
“Oggi” - scrive Marc Partouche ne La ligne oubliée (2004) - l’Internazionale Situazionista “conosce un successo straordinario e il mondo delle arti, delle lettere e dello spettacolo ha innalzato Debord al rango di mito, al pari di André Breton”. La ragione di un simile consenso risiede forse, secondo quanto Debord stesso e Gianfranco Sanguinetti hanno affermato nelle “Thèses sur l’Internationale Situationniste en son temps”, nel fatto che “la teoria, lo stile e l’esempio dell’I.S. sono adottati da migliaia di rivoluzionari nei principali paesi avanzati”, o “ben più in profondità”, nell’“essersi convinta (la società contemporanea) della verità delle prospettive situazioniste, per realizzarle o per combatterle”. O forse – all’opposto – potrebbe darsi il caso che lo spettacolo abbia ormai assimilato la sua critica, al punto di farsene ornamento. Perché, in definitiva, nemmeno l’I.S. può andare esente dall’impietosa considerazione che invita “gli autori di opinioni politiche rivoluzionarie, quando la critica borghese li encomia” a ricercare “quali colpe hanno commesso”.

 

  (2007)

  (Allegato alla rivista "Icaro")



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