I.S. : LE RADICI LETTRISTE

di Sandro Ricaldone

 

In questo intervento cercherò di mettere in luce alcuni aspetti del rapporto tra le creazioni del lettrismo, in particolare di Isidore Isou, ed il complesso di elaborazioni teoriche e di pratiche artistiche elaborato in primo luogo da Debord ma con l'apporto determinante di Gil J. Wolman e di Gilles Ivain (alias Ivan Tcheglow) nel periodo che precede (e che determina) la formazione dell'Internazionale Situazionista. Un tentativo, per ora solo abbozzato, ma che mi sembra giustificato dal prevalere nei saggi apparsi negli ultimi anni soprattutto in area anglosassone (da "Assalto alla cultura" di Stewart Home, che pure riporta dei punti di vista inconsueti, al recentissimo "Guy Debord; revolutionary" di Len Bracken) di un'impostazione cronologica, meramente sequenziale, nella descrizione delle vicende delle avanguardie artistiche del secondo dopoguerra. Per non parlare delle ricostruzioni "ufficiali" che per lungo tempo hanno avuto corso in Francia (con Martos e Dumontier, per esempio).

Se in Italia stiamo decisamente meglio lo dobbiamo al lavoro di Mirella Bandini che ne "L'estetico, il politico", di cui è ora in corso una nuova edizione oltre che una traduzione francese, ha assunto una prospettiva decisamente più ampia e più attenta agli apporti dei diversi gruppi ed alle relazioni (o contrapposizioni) esistenti fra questi. Anche se - e probabilmente era giusto in quel momento, trattandosi di dare, in sostanza per la prima volta, un quadro d'insieme - il processo è sintetizzato in funzione del suo sbocco e l'Internazionale Situazionista finisce col sembrare più originale ed autonoma di quanto in realtà non sia stata, almeno nella sua prima fase. Anche il più recente volume di Anselm Jappe contiene spunti degni di nota sul rapporto fra Debord e il lettrismo, sempre però mirando altrove. Per quel che mi riguarda credo sia oggi necessario intraprendere un lavoro di scandaglio, magari settoriale, e vedere cosa ne risulterà. In quest'ottica, fra le varie possibilità, ho pensato di concentrare la mia analisi - per adesso almeno - sull'idea di situazione e sul détournement.

Quando, nel 1952, Debord, insieme a Wolman, Brau e Berna, rompe con Isou dopo il famoso "affaire Chaplin" aveva già elaborato l'idea di "situazione". Vi accenna proprio nel suo film lettrista di quell'anno, "Hurlements en faveur de Sade": (cito, dalla traduzione di Paolo Salvadori): "una scienza delle situazioni è da costruire: essa si avvarrà di elementi tratti dalla psicologia, dalle statistiche, dall'urbanismo e dalla morale. Questi elementi dovranno concorrere ad uno scopo assolutamente nuovo:_una creazione cosciente di situazioni". E nella prefazione alla sceneggiatura, pubblicata su "Ion", annota, parafrasando Breton: "le arti del futuro saranno sovvertimenti di situazioni o nulla". Perché allora, staccandosi da quella che definiva "la tendenza retrograda" o la "destra lettrista", non ha chiamato la nuova formazione Internazionale Situazionista, ma Internazionale Lettrista? Tanto più che della poesia onomatopeica non gli importava (come dichiarerà due anni più tardi in una delle molteplici messe a punto a proposito del lettrismo su "Potlach") nulla o quasi.

La spiegazione risiede probabilmente nel riconoscimento del ruolo fondamentale che il movimento lettrista tuttora esercitava:

- con la sua "opposizione completa a tutto il movimento estetico conosciuto, di cui analizzava esattamente il continuo decadere";

- con la sua "critica dell'evoluzione formale delle discipline estetiche", condotta con l'intento di "sottomettere i meccanismi dell'invenzione";

- con le "insopportabili provocazioni lanciate (poesia ridotta alle lettere, racconto metagrafico, cinema senza immagine)" capaci di scatenare "un'inflazione mortale nelle arti".

Caso o meno, anche nel caso dell'altro consistente frazionamento del gruppo lettrista, la qualificazione verrà mantenuta. L'esodo di Estivals, Dufrêne, Villeglé, non darà immediatamente luogo allo "schematismo" o all'"affichisme" ma all'Ultra-lettrisme, secondo uno schema che abbina depassement e salvaguardia del termine a quo.

(Non si può far a meno di notare, a questo punto, che larga parte degli artisti francesi degli anni '50/'60, dai Nouveaux Réalistes ad esponenti Fluxus come Ben, hanno formazione od ascendenze lettriste ben precise).

Di fatto, anche quando il distacco sarà maturato e il bagaglio del gruppo debordiano si sarà arricchito di esperienze indipendenti come l' urbanisme unitaire (trait-d'union importante con l'antifunzionalismo del Bauhaus immaginista jorniano) l'impronta lettrista permarrà evidente: la strada da seguire non sarà quella, vaga, ipotetica, dello sperimentalismo artistico. Al contrario Debord ribadirà che (cito dal "Rapporto sulla costruzione di situazioni"): "il solo modo di procedere valido si fonda sulla critica esatta delle condizioni esistenti e sul suo deliberato superamento (...) La creazione non è affatto la combinazione di oggetti e di forme ma invenzione di nuove leggi su quella combinazione".

Dunque: la "situazione" sostituisce la "lettera" in testa ai "valori della creazione" ("Ion"). Certo con conseguenze decisive. Prima fra tutte lo spostamento dell'attenzione dalla forma alla vita.

Ma, di questa svolta copernicana, va ricostruita la genesi. E la genesi porta ancora al Lettrismo e, più in generale, all'ambiente culturale parigino del dopoguerra (il parisiannisme, notiamo per inciso, è un altro dei tratti, o dei tic, che Debord condivide con Isou. Non a caso persiste nel ritenere, addirittura nel 1957, che i due centri della cultura mondiale siano Parigi e Mosca).

Vediamo, allora. Debord parla di "scienza delle situazioni", mettendo in campo, anzitutto, la psicologia. E, nella premessa agli "Hurlements en faveur de Sade", modestamente intitolata "Prolegomeni ad ogni cinema futuro" (se Isou si qualifica come Messia, Debord è almeno il profeta del film a venire) parla di un "condizionamento dello spettatore" che ha chiamato psicologia tridimensionale. In coda alla rivista è annunciata la pubblicazione, nelle edizioni lettriste, d'un suo "Essai de psychologie tridimensionelle". Qui non è il sostantivo a tener banco, ma l'aggettivo. Il "tridimensionale" che ritroviamo applicato al romanzo nella introduzione (che è in realtà un tomo assai ponderoso) a "Les journaux des Dieux", pubblicato da Isou sotto la sigla editoriale "Aux escaliers de Lausanne" nel 1950.

Secondo una tesi convincentemente sostenuta da Robert Estivals ("Grammes" n. 4, 1959) è la teorizzazione isouiana del "bouleversement integral du roman", d'un romanzo non scritto ma svolto (si potrebbe dire agito, e sappiamo quanto l'"azione" pesi nella elaborazione di Debord) in diretta, con personaggi reali che danno corso all'intrigo, la prima fonte della "situazione". Ed un prototipo di situazione potrebbe essere individuata nella "séance de cinema" allestita poco prima da Maurice Lemaître con "Le film est dejà commencé".

Su di essa s'innesta (e la connotazione "morale" ne fa fede) la problematica sartriana, che, pur dissimulata, traspare da talune citazioni sul tema dell' "immaginario".

D'altronde, non solo Sartre (quel Sartre i cui libri Debord farà mettere letteralmente nella spazzatura alla "Librairie la vieille taupe" di Pierre Guillaume) evoca costantemente la situazione come ambito nel quale l'individuo esplica la sua scelta e realizza, conseguentemente, la sua libertà, ma titola "Situations" tre volumi di saggi letterari usciti fra il 1947 ed il 1949. E, ancora, sembra sartriana l'opzione per l' "istantaneo", la scomposizione temporale ribadita da Debord anche nel titolo d'un altro suo film, "Sur le passage de quelques personnes dans une assez courte unité de temps", contro il fluire bergsoniano del tempo.

Sulla situazione convergono poi influenze rimbaldiane ("changer la vie") e surrealiste (le passioni). E la situazione ha il vantaggio, senza prezzo, di consentire la saldatura con la filosofia politica marxiana, attraverso l'ultima delle tesi su Feuerbach in cui si identifica il compito di sostituire alla interpretazione la trasformazione del mondo.

E di nuovo, forse con qualche scarto temporale, vi si riversano l'indagine di Huizinga sul gioco, la "critica della vita quotidiana" (1947) di Henri Lefebvre, che già era stata fondamentale per Cobra, e la "teoria dei momenti" contenuta nel secondo volume (1961), che il filosofo dice di aver elaborato autonomamente (vedi l'intervista a K. Ross in "October" n. 79, 1997) e pone alla base del suo rapporto con Debord, ma che - più probabilmente - rappresenta un ulteriore (non diciamo plagio, dato che per Lautreamont "il plagio è necessario, il progresso l'esige" ma) utilizzo senza citazione della fonte, dopo quello delle "Tesi sulla Comune", da parte dell'eterodosso ricercatore marxista.

Al di là di quest'accumulo di componenti, comunque, la fonte prima ed essenziale rimane pur sempre quella lettrista. Come lettrista è, nella sostanza, l'arrestarsi all'enunciazione teorica. Se la situazione è rimasta sempre virtuale (tutto, dall'urbanismo unitario, al progetto per il labirinto da installare allo Stedelijk Museum è rimasto "sulla carta") non per questo si pregiudica il risultato, anzi. Ad un possibile risultato, con le sue limitazioni oggettive, si sostituiscono tutti i risultati concepibili, come insegna l'estetica isouiana dell'immaginario.

Forse la vera "situazione" imbastita da Debord è stata, consapevolmente o no (scartando quella del maggio parigino, ove enragés e situazionisti hanno avuto un ruolo marginale, dilatato e avvalorato essenzialmente dal sistema spettacolare che avevano denunciato) la vicenda stessa dell'I.S. . E la "Veritable scission" del 1971 sembra provare che, almeno in ultimo, ne avesse coscienza, segnando una singolare convergenza con l'elaborazione simondiana che alla metà degli anni '60, proprio qui a Torino, trasformerà l'idea albese del laboratorio, con l'ultima fase del CIRA, nell'esperienza del "gruppo che sperimenta sé stesso".

Potrei fermarmi qui, perchè già ho abusato della vostra pazienza ed ho sottratto qualche "unità di tempo" all'intervento di Piero Simondo che sarà, come al solito, molto più coinvolgente.

Appena un accenno però, sul détournement, è forse opportuno. Anche perchè l'agglomerazione è analoga e, se è dubbio che le ripetizioni giovino in senso assoluto, se non altro servono a puntellarsi reciprocamente. Per il détournement bisogna risalire molto più indietro del lettrismo, all'Ottocento.

Non che sia un problema. Per la derive si può risalire ancor più indietro, al Grand Siècle, che sicuramente Debord amava, come attestano il prelievo da Bossuet del "panegirico", le ripetute citazioni di Gondi e via dicendo. Si risale ai Preziosi, alla "Carte de Tendre" di mademoiselle De Scudery, a "la conversazione, la promenade come attività privilegiate". Anche se poi, molto più vicino, c'è l'hazard objectif dei surrealisti, i viaggi con destinazioni casuali, l'esplorazione di Parigi (indagati anche questi dalla Bandini) e il "Traité de bave et d'eternité" di Isou, si presenta, oltre che come manifesto del cinema discrepante, nei termini d'una lunghissima deriva attraverso Saint-Germain-des-Prés e il Quartiere latino.

La genealogia del détournement stabilita da Debord e Wolman nel testo pubblicato su "Les levres nues" (non a caso una rivista surrealista) accenna con sufficienza a Duchamp, parla dei tagli operati da Brecht nei classici del teatro "a fini educativi" per desumerne che deve finire l'idea della proprietà intellettuale e della fedeltà all'originale (una tematica che farà un lungo percorso sino ai giorni nostri), si sofferma in particolare su Lautreamont. Ma, al punto, vien dichiarato (ed è una brillante trasposizione dei principi della "metagrafia", ideata da Isou e praticata anche nell'ambito dell'I.L., in cui è postulato l'accostamento di tutti i segni esistenti o d'invenzione, e della "meca-estetica" in cui è teorizzato l'impiego di tutti i materiali possibili) che "tutti gli elementi presi non importa dove possono costituire oggetto di accostamenti nuovi. (...) L'interferenza di due mondi sentimentali, di due espressioni indipendenti, superano i loro elementi primitivi per determinare un'organizzazione sintetica d'un'efficacia superiore".

E, ancora, il cinema discrepante, il Traitè isouiano allo stesso modo del "film già cominciato" di Lemaître, con le immagini deformate e cancellate, l'inserimento di spezzoni di altri films e di scarti di pellicola, la dissociazione fra immagine e colonna sonora, cos'è se non un detournement alla terza o quarta potenza?

Qui mi fermo davvero, per ora, e vi ringrazio

 

(Torino, Unione Culturale, 2 giugno 1998)

 

 

 

 

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